Gregorio di Nissa (da Contro gli usurai)

giustizia, Padri della Chiesa Scrivi un commento

Spudoratezza del creditore

Non andare a cercare profitto dal rame o dall’oro, materiali inerti; non costringere la povertà a fare ciò che è del ricco, né colui che implora il capitale a pa¬garti l’interesse. Non vedi dunque come la necessità dell’usura è la pudica richiesta di elemosina? Così anche la legge [leggi l’Antico Testamento, n.d.r.], elementare manuale della pietà, proibisce dappertutto l’usura. « Se presti denaro al tuo fratello, non imporgli interesse » (Es 22, 24). E la grazia [leggi il Nuovo Testamento, n.d.r.], fonte inesauribile di carità, prescrive il condono dei debiti, quando benignamente dice: « Non date in prestito a coloro dai quali sperate di ricevere qualcosa » (Lc 6, 34); e altrove, nella parabola, castigando severamente il servo spietato, che non si è lasciato intenerire dal compagno di schiavitù che implorava e non gli rimette un piccolo debito di cento denari quando a lui erano stati condonati diecimila talenti (cf Mt 18, 23-35). Nostro Signore, maestro di pietà, proponendo ai suoi discepoli norme e un modello semplice di preghiera, ha infuso anche le parole di supplica, come piuttosto bisogna commuovere prima di tutto Dio: « Rimetti a noi i nostri debiti come noi li abbiamo rimessi ai nostri debitori » (Mt 6, 12). In che modo, tu lercio usuraio, preghe¬rai? Con quale sfacciataggine domanderai a Dio una grazia, mentre ricevi tutto e non sai donare? Non sai che la tua preghiera è una memoria di disumanità? Quando hai rimesso per implorare il perdono? Di chi hai avuto pietà per invocare pietà? Se pratichi l’elemosina, con l’esazione disumana dell’imposta, non è forse piena con le lacrime e con i sospiri altrui? Se il povero sapesse da dove cavi l’elemosina certamente non l’accetterebbe, piuttosto che assaggiare la carne dei fratelli e il sangue dei familiari; ti rivolgerebbe un discorso di moderata schiettezza. Non nutrirmi, o uomo, con le lacrime fraterne. Non dare a un povero pane confezionato con i singhiozzi dei compagni di miseria. Rimetti al tuo simile ciò che gli hai ingiustamente sottratto e io te ne sarò riconoscente. Che cosa giova, quando rendi poveri molti, consolarne uno solo? Senza una massa di usurai non ci sarebbe una folla di poveri. Sciogli la tua fratria e tutti avremo l’indipendenza. Tutti biasimano gli usurai, e non c’è una terapia del male: non la legge, né i profeti, né gli evangelisti. Così dunque dice il divino Amos: « Ascoltate questo, voi che calpestate il povero e sterminate gli umili del paese, voi che dite: Quando sarà passato il novilunio e potremo vendere il grano? » (Am 8, 4). Infatti, i padri non gioiscono tanto per la nascita dei loro figli quanto gli usurai si allietano per la fine del mese.

Barbarie di chi fa prestiti

Abbelliscono il peccato con nomi onorevoli, definendo benigno il guadagno, a imitazione dei Greci che davano il nome di Eumenidi a demoni crudeli e sanguinari. È benigno? Non è forse l’esazione dell’interesse a rovinare le case, a consumare i beni, a costringere chi è nato libero a vivere peggio degli schiavi, a recare diletto per poco all’inizio e per il resto dell’esistenza condanna poi a procurare amarezza? Come appunto gli uccelli che sono insidiati dagli uccellatori, si dilettano a spartire il seme che si getta loro e scelgono il caro e consueto modo di vivere in quei luoghi dove per loro è abbondante il cibo, poco dopo incappando nelle trappole saranno perduti; così coloro che prendono in prestito con interesse, per poco tempo vivono con agiatezza, poi vengono espulsi dal focolare paterno. La pietà emigra dagli animi scellerati e avari, e vedendo questa casa del debitore messa in vendita non si commuovono, ma al contrario inseguono l’affare affinché riscuotendo oro strangolino un’altra vittima; secondo la premura e l’insaziabilità dei cacciatori che circondano una valle con le reti per prendervi con inganno la selvaggina, per poi turare le maglie in un dirupo successivo e da questo in un altro e così di seguito, finché non hanno spopolato le montagne. Con quali occhi costui dunque mira il cielo? In che modo implora il perdono dei peccati? Oppure con incoscienza subito ripete la preghiera che ha insegnato il Salvatore: « Rimetti a noi i nostri debiti come noi li abbiamo rimessi ai nostri debitori » (Mt 6, 12)? Quanti si sono impiccati a causa dell’usura, quanti si sono buttati nelle onde dei fiumi, stimando la morte più comoda dei creditori e lasciando orfani i figli avendo come odiosa matrigna la povertà! I lerci abili usurai non risparmiano la casa deserta, ma perseguitano gli eredi, che subito hanno ereditato solo il cappio, ed esigono oro da chi mendica il pane dai banchetti. Quando rinfacciano verisimilmente la morte del debitore e si evoca il cappio fatale per farli arrossire, non provano nessuna vergogna del tragico avvenimento e non si sentono feriti nell’animo; pronunciano amare parole senza vergogna a causa della conoscenza. È colpa nostra, per caso, se il povero diavolo e questo stolto nato sotto una cattiva stella è incappato nel destino di questa morte violenta? I lerci usurai, infatti, filosofeggiano e diventano discepoli di astrologi egiziani, quando si tratta di giustificare la propria scelleratezza e il proprio crimine.

Giustizia di Dio

Bisogna dire a uno di loro: Sei tu il triste destino, sei tu la necessità della cattiva stella. Se avessi alleviato le sue preoccupazioni, se avessi lasciato una parte della parte, se avessi prestato una parte di questa, non avrebbe odiato la vita faticosa, non sarebbe diventato boia di se stesso. Con quali occhi guarderai, nel tempo della risurrezione, colui che è stato assassinato? Comparirete tutti e due davanti al tribunale di Cristo, dove non si contano gli interessi, ma si giudica l’esistenza. Che cosa risponderai al giudice incorruttibile, quando ti dirà: Avevi la legge, i profeti, gli insegnamenti evangelici? Sentivi che tutti insieme all’unisono ti ingiungevano la carità e l’umanità?

(tratto da Contro gli usurai, PG 46)

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